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Un nuovo governo in Israele è possibile, e questa è la mia speranza per il futuro.

Federico Pizzarotti

E’ giusto denunciare la strategia disumana del governo israeliano, ma non attaccare indiscriminatamente israeliani ed ebrei.

Il governo israeliano, sotto la guida di Benjamin Netanyahu e sostenuto da una maggioranza estrema destra e di estremismo religioso, sta conducendo una guerra che non solo sfida il diritto internazionale, ma mette in discussione i principi fondamentali di umanità. Le azioni militari che si stanno portando avanti, in particolare nella striscia di Gaza, sono diventate il punto di riferimento di una strategia che utilizza la fame come strumento di guerra, come sottolineato da Nadav Weiman, veterano dell’IDF e oggi direttore dell’organizzazione “Breaking the Silence”. Questa associazione di ex soldati israeliani ha come obiettivo quello di denunciare i crimini commessi nei territori occupati e ha avuto il coraggio di smascherare una delle facce più cruente della guerra: l’utilizzo della fame come arma.

Weiman ha dichiarato: «Stiamo usando la fame come strumento di guerra». Questa frase non è solo una critica alle politiche di Netanyahu, ma rappresenta l’immagine di una guerra che si fa sulle vite e sul benessere della popolazione civile, con l’intento di sottomettere un intero popolo attraverso la privazione delle risorse più basilari. Il mondo ha assistito a scene strazianti, con migliaia di palestinesi che si accalcano ai centri di distribuzione degli aiuti umanitari, cercando di ottenere un minimo di cibo, mentre l’IDF impedisce l’accesso ai centri, sparando su chi arriva prima dell’orario di apertura e disperdendo la folla anche dopo la chiusura, con una violenza insensata che non fa distinzioni tra donne, bambini e anziani.

Una strategia disumana, che genera solo odio.

Questa politica non è solo un errore tattico, ma una scelta deliberata che mina la possibilità di una soluzione pacifica e la dignità dei palestinesi. E come ha giustamente sottolineato Papa Leone, questa strategia non solo è disumana, ma alimenta un ciclo infinito di odio, non solo nei territori occupati, ma anche in occidente, dove le manifestazioni contro Israele spesso sfociano in attacchi indiscriminati contro gli israeliani ed ebrei anche di altri paesi, che non hanno alcuna responsabilità rispetto alle azioni di un governo che è ormai compromesso da scelte politiche e militari che mirano solo alla conservazione del potere.

Le immagini di piazza Dizengoff a Tel Aviv, oggi un “mausoleo” del 7 ottobre, simbolo della resistenza ma anche della sofferenza causata dal conflitto, sono un chiaro segno di come la guerra abbia colpito anche la società israeliana, che oggi si trova divisa tra chi sostiene il governo e chi, come molti soldati e veterani, denuncia gli abusi commessi in nome della sicurezza nazionale. Dan Eliav, ex soldato delle forze speciali israeliane e attivista, ha dichiarato con fermezza che non esistono più ragioni per proseguire la guerra dopo aver eliminato gran parte dei vertici di Hamas, aggiungendo che l’unico scopo della guerra di Gaza è mantenere il governo al potere. Queste parole vanno lette come un monito: Israele ha bisogno di un cambiamento politico interno che ripristini la fiducia nelle istituzioni e nella possibilità di raggiungere una soluzione pacifica.

Le sofferenze interne: suicidi tra i soldati israeliani

Un altro dato allarmante riguarda il crescente numero di suicidi tra i soldati israeliani, con molte delle vittime appartenenti alle forze di riserva che partecipano al servizio attivo. Il quotidiano israeliano Haaretz ha rivelato che la maggior parte dei soldati che si suicidano sono riservisti, una categoria che comprende molti soldati che hanno combattuto nelle guerre recenti, tra cui quella contro Gaza.

Il deterioramento psicologico tra i soldati israeliani continua a crescere, come evidenziato dagli allarmanti indicatori: tre suicidi in soli dieci giorni. Il Canale 12 israeliano ha riferito che un soldato della Brigata Nahal si è suicidato lunedì mattina in una base militare sulle Alture del Golan, diventando il terzo soldato a porre fine alla propria vita in meno di due settimane. Un altro soldato della Brigata Golani si è suicidato all’interno della base Sde Teman nel deserto del Negev, dopo aver subito un’indagine condotta dalla polizia militare, che lo aveva portato a ritirare la sua arma personale, ma che è poi riuscito a usare l’arma del suo compagno per suicidarsi.

Il sito web Walla ha riportato anche un terzo caso di suicidio, avvenuto nella stessa settimana, da parte di un soldato che aveva sofferto per mesi a causa delle esperienze psicologiche legate alla guerra di Gaza e al conflitto in Libano, segnato da scene di violenza estremamente dure.

La necessità di un cambiamento: Israele deve cambiare il suo governo.

Oggi, però, la guerra è diventata un elemento centrale nella politica israeliana, una giustificazione per mantenere il potere e per non affrontare le vere cause del conflitto. La violenza sistematica e le continue violazioni dei diritti umani rischiano di compromettere irrimediabilmente l’immagine di Israele a livello internazionale, e non solo. L’immagine del Paese è ormai compromessa finché non ci sarà un cambio di governo che prenda una posizione chiara e decisa contro gli abusi commessi. È necessario che Israele riconosca gli errori e che non solo condanni pubblicamente gli abusi militari, ma che si impegni a costruire un futuro in cui i diritti del popolo palestinese siano finalmente rispettati.

La soluzione dei due stati: la vera via per la pace.

Fino a quando il governo di Netanyahu non prenderà atto della necessità di una soluzione a due stati, non ci sarà mai un vero processo di pace. La creazione di uno stato palestinese indipendente, con pieni diritti e dignità per il popolo palestinese, deve essere una priorità per la politica israeliana. La comunità internazionale ha il dovere di spingere per un cambiamento, e la società israeliana stessa deve fare pressione per un nuovo governo che sia pronto a condannare gli abusi e a riconoscere il diritto alla dignità di ogni individuo, palestinese o israeliano che sia.

Le manifestazioni che condannano il governo israeliano sono legittime, ma non devono mai sfociare nell’odio indiscriminato contro tutti gli israeliani o gli ebrei. Chi protesta contro le politiche del governo deve farlo nel rispetto dei diritti degli altri, senza lasciare spazio a discriminazioni o violenze. Lottare per la pace non significa distruggere l’altro, ma cercare di comprendere le cause e lavorare insieme per una soluzione che porti giustizia a tutti.

La vera misura di un leader si vede nel modo in cui tratta i più vulnerabili, in particolare i bambini. Chi non ha pietà per loro non ha il cuore per governare.

Un nuovo governo in Israele è possibile, e questa è la mia speranza per il futuro.

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