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Federico Pizzarotti
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CANCEL CULTURE: quando il giusto diventa intollerante

Oggi che abbiamo più strumenti, cultura e consapevolezza per rapportarci diversamente gli uni agli altri, ci si aspetterebbe un dialogo più maturo, rispettoso, aperto.
Eppure, proprio in nome del rispetto e della giustizia, si stanno diffondendo pratiche che vanno nella direzione opposta.

La cancel culture, nata per dare voce agli esclusi, finisce spesso per zittire e punire chi sbaglia, anche a distanza di anni. Non si educa, si aggredisce. Non si spiega, si condanna. La gogna digitale diventa il nuovo strumento di moralismo istantaneo, slegato da contesto, intenzione e proporzione.

Si censurano libri, si coprono statue, si riscrivono storie. Ma il passato non si cancella: si studia. Solo conoscendolo possiamo davvero capire cosa cambiare.

Nel 1949 George Orwell scriveva in 1984: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”
Ed è proprio questo il punto: cancellare la storia non significa superarla, significa riscriverla a proprio vantaggio. È un atto di potere, non di giustizia.

E come spesso accade, a ogni forzatura segue una reazione uguale e contraria. Negli Stati Uniti l’onda lunga della cancel culture ha contribuito ad alimentare il consenso per Trump. In Argentina, Javier Milei ha persino fatto circolare un catalogo di insulti “leciti”, sostenendo che oggi tutto è offensivo e non ci si può più difendere. Un paradosso. Nel tentativo di proteggere la sensibilità, si finisce per dare voce a chi legittima ogni brutalità verbale.

Ma alla radice di tutto questo ci sono anche i social network, spesso usati male. Non ci si guarda negli occhi, non si conosce chi abbiamo davanti.
Molte delle aggressività che si leggono ogni giorno non accadrebbero mai dal vivo.
E tanti utenti, specialmente anziani o poco esperti, non hanno strumenti né consapevolezza per esprimersi nel modo giusto. Scrivono senza tono, senza filtri, e diventano bersagli inconsapevoli o inneschi involontari di nuove polemiche.

Gli algoritmi ci rinchiudono in bolle dove leggiamo solo chi la pensa come noi. E ci convinciamo di essere nel giusto, come se esistesse una verità assoluta. Poi, appena incontriamo un’idea diversa, la attacchiamo con rabbia, come un virus da eliminare. Non c’è dialogo, solo schieramenti.

Stiamo sprecando uno strumento che potrebbe farci crescere, condividere, capire meglio noi stessi e gli altri.
Lo usiamo invece per sfogare frustrazioni, per sentirci dalla parte giusta, per farci ascoltare a ogni costo.

Forse il problema non è chi ha sbagliato.
È che abbiamo dimenticato come si discute.
E che prima di “cancellare”, dovremmo imparare ad ascoltare.

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Un nuovo governo in Israele è possibile, e questa è la mia speranza per il futuro.

E’ giusto denunciare la strategia disumana del governo israeliano, ma non attaccare indiscriminatamente israeliani ed ebrei.

Il governo israeliano, sotto la guida di Benjamin Netanyahu e sostenuto da una maggioranza estrema destra e di estremismo religioso, sta conducendo una guerra che non solo sfida il diritto internazionale, ma mette in discussione i principi fondamentali di umanità. Le azioni militari che si stanno portando avanti, in particolare nella striscia di Gaza, sono diventate il punto di riferimento di una strategia che utilizza la fame come strumento di guerra, come sottolineato da Nadav Weiman, veterano dell’IDF e oggi direttore dell’organizzazione “Breaking the Silence”. Questa associazione di ex soldati israeliani ha come obiettivo quello di denunciare i crimini commessi nei territori occupati e ha avuto il coraggio di smascherare una delle facce più cruente della guerra: l’utilizzo della fame come arma.

Weiman ha dichiarato: «Stiamo usando la fame come strumento di guerra». Questa frase non è solo una critica alle politiche di Netanyahu, ma rappresenta l’immagine di una guerra che si fa sulle vite e sul benessere della popolazione civile, con l’intento di sottomettere un intero popolo attraverso la privazione delle risorse più basilari. Il mondo ha assistito a scene strazianti, con migliaia di palestinesi che si accalcano ai centri di distribuzione degli aiuti umanitari, cercando di ottenere un minimo di cibo, mentre l’IDF impedisce l’accesso ai centri, sparando su chi arriva prima dell’orario di apertura e disperdendo la folla anche dopo la chiusura, con una violenza insensata che non fa distinzioni tra donne, bambini e anziani.

Una strategia disumana, che genera solo odio.

Questa politica non è solo un errore tattico, ma una scelta deliberata che mina la possibilità di una soluzione pacifica e la dignità dei palestinesi. E come ha giustamente sottolineato Papa Leone, questa strategia non solo è disumana, ma alimenta un ciclo infinito di odio, non solo nei territori occupati, ma anche in occidente, dove le manifestazioni contro Israele spesso sfociano in attacchi indiscriminati contro gli israeliani ed ebrei anche di altri paesi, che non hanno alcuna responsabilità rispetto alle azioni di un governo che è ormai compromesso da scelte politiche e militari che mirano solo alla conservazione del potere.

Le immagini di piazza Dizengoff a Tel Aviv, oggi un “mausoleo” del 7 ottobre, simbolo della resistenza ma anche della sofferenza causata dal conflitto, sono un chiaro segno di come la guerra abbia colpito anche la società israeliana, che oggi si trova divisa tra chi sostiene il governo e chi, come molti soldati e veterani, denuncia gli abusi commessi in nome della sicurezza nazionale. Dan Eliav, ex soldato delle forze speciali israeliane e attivista, ha dichiarato con fermezza che non esistono più ragioni per proseguire la guerra dopo aver eliminato gran parte dei vertici di Hamas, aggiungendo che l’unico scopo della guerra di Gaza è mantenere il governo al potere. Queste parole vanno lette come un monito: Israele ha bisogno di un cambiamento politico interno che ripristini la fiducia nelle istituzioni e nella possibilità di raggiungere una soluzione pacifica.

Le sofferenze interne: suicidi tra i soldati israeliani

Un altro dato allarmante riguarda il crescente numero di suicidi tra i soldati israeliani, con molte delle vittime appartenenti alle forze di riserva che partecipano al servizio attivo. Il quotidiano israeliano Haaretz ha rivelato che la maggior parte dei soldati che si suicidano sono riservisti, una categoria che comprende molti soldati che hanno combattuto nelle guerre recenti, tra cui quella contro Gaza.

Il deterioramento psicologico tra i soldati israeliani continua a crescere, come evidenziato dagli allarmanti indicatori: tre suicidi in soli dieci giorni. Il Canale 12 israeliano ha riferito che un soldato della Brigata Nahal si è suicidato lunedì mattina in una base militare sulle Alture del Golan, diventando il terzo soldato a porre fine alla propria vita in meno di due settimane. Un altro soldato della Brigata Golani si è suicidato all’interno della base Sde Teman nel deserto del Negev, dopo aver subito un’indagine condotta dalla polizia militare, che lo aveva portato a ritirare la sua arma personale, ma che è poi riuscito a usare l’arma del suo compagno per suicidarsi.

Il sito web Walla ha riportato anche un terzo caso di suicidio, avvenuto nella stessa settimana, da parte di un soldato che aveva sofferto per mesi a causa delle esperienze psicologiche legate alla guerra di Gaza e al conflitto in Libano, segnato da scene di violenza estremamente dure.

La necessità di un cambiamento: Israele deve cambiare il suo governo.

Oggi, però, la guerra è diventata un elemento centrale nella politica israeliana, una giustificazione per mantenere il potere e per non affrontare le vere cause del conflitto. La violenza sistematica e le continue violazioni dei diritti umani rischiano di compromettere irrimediabilmente l’immagine di Israele a livello internazionale, e non solo. L’immagine del Paese è ormai compromessa finché non ci sarà un cambio di governo che prenda una posizione chiara e decisa contro gli abusi commessi. È necessario che Israele riconosca gli errori e che non solo condanni pubblicamente gli abusi militari, ma che si impegni a costruire un futuro in cui i diritti del popolo palestinese siano finalmente rispettati.

La soluzione dei due stati: la vera via per la pace.

Fino a quando il governo di Netanyahu non prenderà atto della necessità di una soluzione a due stati, non ci sarà mai un vero processo di pace. La creazione di uno stato palestinese indipendente, con pieni diritti e dignità per il popolo palestinese, deve essere una priorità per la politica israeliana. La comunità internazionale ha il dovere di spingere per un cambiamento, e la società israeliana stessa deve fare pressione per un nuovo governo che sia pronto a condannare gli abusi e a riconoscere il diritto alla dignità di ogni individuo, palestinese o israeliano che sia.

Le manifestazioni che condannano il governo israeliano sono legittime, ma non devono mai sfociare nell’odio indiscriminato contro tutti gli israeliani o gli ebrei. Chi protesta contro le politiche del governo deve farlo nel rispetto dei diritti degli altri, senza lasciare spazio a discriminazioni o violenze. Lottare per la pace non significa distruggere l’altro, ma cercare di comprendere le cause e lavorare insieme per una soluzione che porti giustizia a tutti.

La vera misura di un leader si vede nel modo in cui tratta i più vulnerabili, in particolare i bambini. Chi non ha pietà per loro non ha il cuore per governare.

Un nuovo governo in Israele è possibile, e questa è la mia speranza per il futuro.

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La violenza verbale che svilisce la politica: una continuità che non può essere ignorata

Le ultime dichiarazioni di Priamo Bocchi non solo continuano a svilire il ruolo della politica, ma rappresentano una vera e propria violenza verbale nei confronti delle persone che affrontano temi delicati come l’aborto, o come in passato aveva ridicolizzato la violenza sulle donne. Bocchi, invece di impegnarsi a risolvere i problemi concreti, continua a preferire provocare e offendere, come dimostrano le sue frequenti imbarazzanti dichiarazioni.

Dopo l’episodio del “sedere” sull’immagine del consiglio comunale che discuteva una mozione contro la violenza di genere, quando ancora non era nemmeno consigliere comunale, Fratelli d’Italia aveva preso nettamente le distanze, dichiarando che il gesto era inaccettabile sotto ogni punto di vista e che nulla aveva a che fare con il loro pensiero e la loro storia. “Assumeremo i provvedimenti necessari”, avevano promesso. Eppure, oggi, Bocchi è ancora loro rappresentante regionale, dopo essere stato loro candidato sindaco, e continua a fare danni, senza che il partito prenda realmente posizione.

Se Bocchi continua a essere un’espressione del partito, evidentemente Fratelli d’Italia si rispecchia in queste idee e atteggiamenti. La politica non può più essere ridotta a provocazioni e parole che feriscono e dividono, e il partito non può continuare a ignorare le sue responsabilità in questo processo. È ora che Fratelli d’Italia faccia un passo indietro e si assuma le conseguenze delle scelte fatte, perché la politica dovrebbe risolvere i problemi delle persone, non sfruttare le difficoltà altrui per fini elettorali.

Riflessioni

21 gennaio 2012: l’inizio di un’avventura indimenticabile

Il 21 gennaio 2012 iniziava l’avventura che avrebbe cambiato la mia vita, quella di tanti miei compagni di percorso e, forse, anche il volto della mia città e della politica. Eravamo un gruppo pieno di ideali, di voglia di fare e, forse, anche di un po’ d’incoscienza. Ma quell’incoscienza era alimentata da un sincero desiderio di migliorare la nostra città e il nostro Paese.

Quel gruppo di ragazzi, unito dalla passione e dalla determinazione, ha segnato un momento straordinario. Alcuni sono rimasti nell’arena politica, altri hanno scelto strade diverse, com’è naturale che sia. Ma nulla potrà mai cancellare la forza di quell’esperienza collettiva e di quei primi passi condivisi, che hanno lasciato un segno profondo nei dieci anni successivi.

Se il MoVimento 5 Stelle, a livello nazionale, avesse intrapreso un’evoluzione coerente con i suoi valori fondanti, senza stravolgerli, forse oggi racconteremmo una storia diversa. Una storia in cui non ci saremmo allontanati dalla carica emotiva e dalla fiducia che ci legava così fortemente ai cittadini.

Quella data, però, resta un simbolo di entusiasmo, di speranza e di impegno. È stata la scintilla di un percorso che ha messo al centro le persone, le idee e la voglia di costruire un futuro diverso. Non è stato un viaggio perfetto, nessuno lo è, ma il ricordo di quei momenti, delle assemblee, delle battaglie condivise e delle prime vittorie, resta un pezzo di storia prezioso, da custodire e tramandare.

Al di là dei “se” e dei “ma”, ciò che resta è un’esperienza che ha insegnato a credere nel cambiamento e nella possibilità di costruire qualcosa di nuovo. Anche oggi, a distanza di tanti anni, porto con me quei valori e quella voglia di cambiare. Perché il vero cambiamento non è solo nei grandi discorsi, ma in ciò che ognuno di noi sceglie di fare ogni giorno.

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Riflessioni

Prima o poi, il futuro arriva!

Un anno che si chiude e uno nuovo che inizia: riflessioni tra serietà e leggerezza.

Ogni fine anno porta con sé la voglia di bilanci, di guardarsi indietro e, inevitabilmente, di pensare al futuro. Per me, il 2024 è stato un anno complesso, iniziato con la perdita di mia madre, un momento che ti cambia profondamente. È come se si chiudesse un capitolo e se ne aprisse uno nuovo, quello in cui ci si rende conto che, si arriva ad un momento in cui la vita smette di dare e comincia a prendere: negli affetti, nelle relazioni, nelle scelte per il futuro.

Politicamente, è stato un anno di scelte importanti e, a tratti, dolorose. Ho lasciato il partito di cui ero presidente, una decisione non facile, ma necessaria, perché non condividevo la direzione intrapresa. Non sono riuscito a realizzare l’elezione al Parlamento Europeo, ma questo non è stato solo un punto d’arrivo mancato, bensì uno stimolo a riflettere su come rilanciare un’area politica che oggi, diciamocelo, ha bisogno di concretezza, visione e… un po’ di coraggio.

Sul piano personale, il 2024 è stato un anno di grandi traguardi. Dopo tanta attesa, il nostro Bed and Breakfast “Il Bordone del Pellegrino” è finalmente una realtà. E mentre nel 2025 accoglieremo gli ospiti anche a Parma con una nuova stanza (sveleremo il nome a tempo debito), al Castello di Casola partirà anche la produzione di liquori. Insomma, si cominciano a vedere i frutti dopo anni in cui mi sono sentito più contadino che imprenditore: pianta, semina, taglia.

E poi c’è tutto il resto. Ho messo davvero tanta carne al fuoco negli ultimi due anni, forse troppa (e a volte ho pensato che si stesse per bruciare). Ma ora vedo nel 2025 un anno che, pur con le sue complessità – perché, diciamolo, non esiste un anno semplice – sarà un anno di raccolto: familiare, personale, lavorativo. Politicamente, invece, sarà un anno in cui mettersi a disposizione e tornare a costruire.

Quindi, che altro dire? Buona fine dell’anno e buon inizio a tutti. E ricordate: mai smettere di seminare, anche se il raccolto sembra lontano. Perché, prima o poi, il futuro arriva!

Amministrazione

Abbatere muri per riscoprire la bellezza

Soddisfazione è la parola chiave per descrivere la conclusione dei lavori che regalano una nuova apertura al Parco Ducale, rendendolo ancora più accessibile e fruibile per tutti i cittadini. Un progetto che ha preso forma abbattendo un muro, sostituito da una nuova cancellata, e che si conclude oggi riportando alla luce e alla fruibilità la rimanente parte del muro farnesiano, rimasta chiusa alla cittadinanza per decenni.

Questa realizzazione è la prova di come i progetti a lungo respiro, pensati per il bene comune, richiedano tempo, visione e determinazione per essere portati a termine. I lavori, iniziati e progettati con cura anni fa durante la mia amministrazione, trovano oggi la loro conclusione, dimostrando che ogni sforzo profuso per migliorare il nostro territorio vale ogni sacrificio.

Un grande passo avanti per il nostro parco, per la nostra città e per chi crede nella valorizzazione del patrimonio storico e naturale. Una nuova apertura non solo fisica, ma anche simbolica per una comunità sempre più inclusiva.

M5S

M5S, addio al limite dei due mandati… Chi l’avrebbe mai detto?

M5S, addio al limite dei due mandati… Chi l’avrebbe mai detto?

Ebbene sì, anche un’altro dei pilastri fondativi del Movimento 5 Stelle è caduto, ammesso ne siano rimasti ancora.
L’Assemblea degli iscritti ha votato per modificare la regola dei due mandati. A favore il 72,08% dei votanti, un risultato che parla chiaro: il cambiamento è stato auspicato e, per molti non più eleggibili, probabilmente anche necessario. È stata una revisione totale della regola, che non solo permette un terzo mandato, ma introduce anche deroghe speciali per chi si candida a ruoli amministrativi di grande rilievo, come sindaco o presidente di Regione. Non è difficile immaginare che questa mossa sia stata pensata anche in vista di possibili candidature “pesanti”, come quella di Roberto Fico per la presidenza della Campania. Insomma, si cambia, ma con un occhio a opportunità specifiche.

Progressisti indipendenti… ovvero “riformisti conservatori”?

Sul fronte del posizionamento politico, gli iscritti hanno scelto una definizione piuttosto curiosa: “progressisti indipendenti”. Un’espressione che, a ben vedere, rischia di risultare un ossimoro. Indipendenti da chi? Progressisti fino a che punto? Sarebbe come dire “riformisti conservatori”, per chi ama le etichette che non si sbilanciano troppo. Tuttavia, questa definizione sembra più che altro una necessità di non perdere contatto con un elettorato che oggi appare molto più frammentato rispetto agli anni d’oro del Movimento, quando il mantra era “né di destra né di sinistra”. Ora, la nuova formula punta a tracciare un’identità più chiara, pur cercando di mantenere una certa autonomia.

Alleanze sì, ma “alla grillina”

Anche sul fronte delle alleanze politiche, il vento è cambiato. Un tempo demonizzate come il male assoluto, ora diventano parte della strategia del Movimento, purché basate su “accordi programmatici precisi”. Su questo punto, i votanti si sono espressi con una percentuale quasi plebiscitaria: il 92,4% ha detto sì. Ma resta il dubbio: quanto può essere davvero “indipendente” un movimento che si allea con altre forze politiche? E soprattutto, quanta libertà rimane nel negoziare tali accordi senza snaturarsi ulteriormente?

L’addio al Garante: una rivoluzione interna

Tra le novità più significative c’è l’eliminazione del ruolo del Garante, una figura che da sempre era legata a Beppe Grillo. Era il simbolo del controllo e della supervisione, ma anche un elemento di ingerenza che negli anni aveva sollevato non poche polemiche. Con il 62,3% dei voti, gli iscritti hanno scelto di rimuoverlo dallo statuto. Se da un lato questa decisione segna un passaggio epocale, dall’altro sembra chiudere definitivamente la fase “grillina” del Movimento, che ora vuole presentarsi come una forza politica più strutturata e autonoma. Ma sarà davvero così? Grillo resterà davvero nell’ombra o troverà nuovi modi per influenzare il percorso del Movimento magari a suon di cause legali?

Un addio ai valori fondanti?

Con queste modifiche, il Movimento 5 Stelle sembra prendere le distanze in modo definitivo da alcuni dei suoi principi originari. Il limite dei due mandati, ad esempio, era stato pensato per garantire un ricambio costante della classe politica e per evitare che il Movimento si trasformasse in una macchina di potere come quelle contro cui si scagliava agli albori. Ora, con tre mandati e deroghe per alcuni ruoli, quel principio di “differenza” rispetto ai partiti tradizionali sembra sempre più sfocato.

Riflessioni sarcastiche sul futuro del M5S

C’è chi dice che il Movimento stia semplicemente evolvendo per adattarsi alla realtà politica italiana. Altri, più critici, vedono queste scelte come l’ennesimo passo verso la perdita di identità. Certo è che, se fino a qualche anno fa il M5S si presentava come un’alternativa radicale al sistema, oggi appare sempre più simile a quello che voleva combattere.

E come si suol dire, “c’è sempre uno più puro che ti epura”… e nessuno ne esce indenne!

Riflessioni

Serve una visione coraggiosa

Il mondo sta ridefinendo i suoi equilibri, e questa transizione offre sia sfide che nuove opportunità per chi saprà coglierle. In questo contesto, l’Unione Europea si trova di fronte a una prova cruciale: trovare la forza per superare le divisioni nazionali e le spinte sovraniste. Solo con una vera integrazione politica ed economica, l’Europa potrà rafforzare il suo ruolo nello scenario globale, evitando di essere frammentata in un mondo dominato da tre potenze: USA, Russia e Cina. Steve Bannon ha chiarito che l’era del libero mercato è finita, e l’accesso ai mercati sarà regolato da nuove dinamiche di forza e collaborazione.

Come sarà il mondo nell’era Trusk? È importante non sottovalutare la portata degli impegni per una trasformazione radicale dell’assetto dello Stato e delle relazioni internazionali dell’America, sostenuti da Trump con il supporto di Musk. Alcuni, anche tra i sostenitori europei, potrebbero considerare queste promesse come semplici slogan elettorali, destinati a svanire con il tempo. Ma vi sono segni chiari che questa volta sarà diverso. La visione millenarista di Musk e le prospettive rivoluzionarie di Bannon ci conducono verso un periodo di autentici cambiamenti. Lo stiamo già osservando in Ucraina e, presto, l’Europa potrebbe affrontare sfide inedite mentre cerca un equilibrio in un contesto geopolitico sempre più dinamico.

Il progetto Trusk, lungi dall’essere solo una visione, è sostenuto da analisi, mezzi e intenti ben definiti. Musk stesso ha suggerito che la democrazia rappresentativa tradizionale, basata sul voto e sull’intermediazione parlamentare, possa risultare superata in una società digitale istantanea. I social media, diventati ormai una sorta di “camera globale”, hanno trasformato il modo di comunicare e condividere idee, anche se questo comporta il rischio di confondere le opinioni con i fatti.

Il mondo dell’informazione e della comunicazione si sta evolvendo, e l’algoritmo diventa sempre più influente. Le piattaforme digitali amplificano la voce di milioni, generando un costante flusso di contenuti e informazioni. La critica può ancora esprimersi, ma le decisioni chiave vengono prese da leader carismatici che interpretano le aspirazioni popolari, incarnando quel “progetto di potere per un tempo rivoluzionario”.

Non possiamo rimproverare al blocco Trusk una mancanza di chiarezza: il loro progetto è stato esposto apertamente ed è stato accolto con un successo elettorale netto. Siamo all’inizio di una nuova era, un’opportunità per ridefinire il nostro futuro.

Oggi, come ai tempi del New Deal di Roosevelt, ciò che serve è una visione coraggiosa e innovativa che sappia trasformare la crisi in progresso.

Amministrazione

10 anni dopo l’alluvione del baganza

Il 13 e 14 ottobre 2014, Parma ha vissuto una delle sue prove più difficili: l’esondazione del torrente Baganza. Di quei giorni rimangono ricordi terribili, ma anche la testimonianza di quanto la nostra comunità sia forte.

Dopo 10 anni ricordo come se fosse ieri la prima lunga notte durante l’alluvione, quando, camminando per il quartiere Montanara immerso nel buio, ho sentito un profondo senso di smarrimento. Le strade erano allagate, i volti pieni di angoscia, e io sapevo che la strada davanti a noi sarebbe stata lunga e piena di sfide.

L’Ospedale Piccole Figlie, le case di riposo di ASP, il Centro Giovani Montanara, le scuole del quartiere, e il Centro Sportivo Lauro Grossi erano tra i luoghi più colpiti. Luoghi simbolo, cuore pulsante di tante vite, ridotti al silenzio. In quei momenti, ho capito che la nostra città avrebbe avuto bisogno di tutto il suo coraggio e della sua determinazione per rialzarsi.

Ma non ero solo. Non eravamo soli. I volontari, i giovani “angeli del fango”, la Protezione Civile, i Vigili del Fuoco e le forze dell’ordine hanno mostrato una dedizione che mi ha commosso profondamente.

Ognuno ha fatto la propria parte, lavorando senza sosta per aiutare chi era in difficoltà, per riportare la luce in mezzo al buio. Anche i miei assessori non si sono risparmiati, lavorando ciascuno per le proprie competenze, e alcuni di loro si sono messi a spalare il fango con le proprie mani per aiutare i cittadini.

Come amministrazione, ci siamo mossi con urgenza. Abbiamo messo in campo ogni risorsa possibile per ripristinare le strade, le scuole, i servizi. Abbiamo lavorato senza sosta per garantire che il quartiere Montanara, e tutta Parma, potesse tornare a vivere.
Tra le tante opere di ricostruzione, una delle più emblematiche è stata il nuovo Ponte della Navetta, che ha preso il posto del ponte crollato sotto la furia dell’acqua. Inaugurato nel 2021, quel ponte è diventato il simbolo della nostra rinascita, un segno tangibile di come, nonostante tutto, siamo riusciti a rialzarci.

Con l’aiuto di AIPO e della Regione, siamo riusciti anche a far partire nel 2021 i lavori della tanto attesa cassa d’espansione del Baganza, un’opera rimandata per oltre 30 anni, fondamentale per mettere in sicurezza il torrente e proteggere Parma da future alluvioni.

Guardando a quanto è stato fatto in questi anni, possiamo ricordare l’importanza dei rimborsi che siamo riusciti a ottenere per cittadini e imprese colpiti dall’alluvione, il grande lavoro di contrasto all’abusivismo edilizio lungo il torrente, con la demolizione di diversi siti illegali, e il ripristino di scuole, strutture sportive e spazi pubblici che sono tornati a essere punti di riferimento per la nostra comunità. Abbiamo implementato un sistema di allerta tempestivo, abbiamo rafforzato il monitoraggio delle piene con nuovi strumenti e aggiornato il Piano di Protezione Civile per garantire maggiore sicurezza al nostro territorio.

Ricordo uno a uno le decine di persone tra i volontari, le forze dell’ordine, i funzionari di tutti gli enti e i tanti amministratori che hanno dato il massimo per rispondere nell’immediato e che successivamente hanno continuato a lavorare per realizzare quelle opere necessarie a ridurre i rischi di eventi come questi.

Oggi, a 10 anni da quei giorni tragici, guardo alla nostra città con orgoglio. Non dimenticherò mai il buio di quelle ore, ma nemmeno la luce che è tornata grazie alla forza, alla determinazione e all’unione di Parma. Insieme, abbiamo ricostruito e guardiamo al futuro con speranza.